La bellezza di una pessima foto.

Avevo 16 o 17 anni e mi trovavo a casa dei miei nonni, esattamente in cucina.

Dino, mio nonno, stava preparando il suo piatto forte, la pasta con le sarde. Quel piatto non l’ho mai amato ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Quello che amavo, invece, era la passione che metteva nel prepararla, mi colpiva talmente tanto che alla fine chiudendo gli occhi riuscivo a dargli tutti i gusti del mondo.

Maria, mia nonna, nell’altra stanza, guardava il gran premio di Formula 1.

Che personaggio mia nonna! Guardava qualsiasi forma di sport, dal tiro al piattello alla formula Uno. Ma soprattutto era una tifosa sfegatata del Milan. Il che, con me interista, il giorno del derby, trasformava quel salone in una specie di Primo anello di San Siro, con tanto di sfottò e piccoli tafferugli domestici.

Mia nonna era un’adorabile rompicoglioni. Lo era sopratutto con mio nonno. Non gli lasciava spazio per respirare.
Faceva tutto lui, cucinava, la accompagnava dal parrucchiere, le parcheggiava la macchina.

Quando, sfinito, sfiorava la poltrona per lasciarsi andare in un meritato riposo, ecco mia nonna gridare dall’altra stanza:

”Dinooooo”.

C’era sempre un valido motivo per chiamarlo. Mio nonno ha vissuto in piedi.

Ora, la mia famiglia era già un disastro. I miei genitori vivevano da separati, i genitori di mio cugino altrettanto.

Per questo io e Gabriele (mio cugino), ci chiedevamo spesso, “ma come fa il nonno a non mollare la nonna?”.
Perchè mollare qualcuno era diventata la normalità nelle nostre vite. Tutti si separavano, i miei genitori, i miei zii, i genitori dei miei amici. Praticamente chiunque.

Allora perchè lui non lo faceva?
“Scappa Dino!!!”.
Lo avrei voluto gridare mille volte. Ma non lo feci mai.

Eppure quel giorno in cucina, mentre Dino, estirpava sapientemente le lische dalle Sarde, mi presi di coraggio e gli chiesi:

“Dino, ma come hai fatto a stare con la nonna tutti questi anni?”.

Lui, non sembrò particolarmente colpito da questa domanda. Sembrava quasi che la stesse aspettando. Aveva la risposta pronta nel cassetto “Lezioni di vita per Edoardo”.
Quindi dovette solo rispolverarla.

“Sono innamorato dei suoi difetti”. “Lei mi riempie con le sue imperfezioni”.

Avevo 16 o 17 anni quando il mio mondo prese un’altra forma. Quel giorno mi resi conto di quanto mio nonno avrebbe influenzato la mia vita, il mio sistema di credenze, i miei valori.

Mi ha donato l’amore ed il suo significato.

Oggi penso a questo, e lo faccio guardando una fotografia scattata proprio dentro quella cucina.
Una pessima fotografia, un’immagine sbagliata.

Non la scattai quel giorno, non stava neanche cucinando la pasta con le sarde, fortunatamente. Ma l’immagine imperfetta, mi riporta li.
E’ il mio legame con quel passato che vive ancora e morirà con me. Quante foto avrei voluto fargli, quante storie avrei rivissuto esattamente come oggi. Quante storie avrei potuto illustrare a chi mi sta vicino. Avrei potuto raccontare me, attraverso un’immagine che non mi ritraeva nemmeno.

Tutto questo per una pessima fotografia, un’immagine sbagliata.
Ma io ne amo i suoi difetti.

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L'album di famiglia e le foto di gruppo